Зображення сторінки
PDF
ePub

1532 l'autore di quest' ultimo viveva quando fu stampato il primo; nè esso autore, nè altri de' contemporanei ha ripreso l'altro di plagio: il libro del 1523 fu dedicato a Carlo V, gli si diede perciò la maggior pubblicità possibile: se i due libri si rassomigliano, se uno par composto su le orme dell'altro, chi deve avere la precedenza?

Posta la questione in tali termini, e tralasciati i nomi degli autori, è impossibile dirimerla altrimenti, che profferendo il giudizio a favore del libro che ha la data del 1523.

Pronunziate ora i nomi degli autori: dite che il libro del 1523 fu composto da Agostino Nifo, e che l'altro del 1532 fu composto da Niccolò Machiavelli, e ciò che pareva piano prima, s'ingarbuglia: i nomi degli autori valgono più delle date. Da una parte, infatti, c'è un uomo dato ai pubblici negozi, che ha sostenuto tante legazioni, e che ridotto all'ozio non sa parlare, se non di cose politiche, e scrive al Vettori: « non sapendo ragionare nè dell' arte della seta, nè dell' arte della lana, nè dei guadagni nè delle perdite, e' mi conviene ragionare dello Stato, e mi bisogna bolarmi di star cheto, o ragionar di questo »; dall'altra c'è un uomo vissuto fuori della vita politica, avvezzo alle sole speculazioni, che quando si occupa delle corti, ti concepisce subito il de re aulica; che due anni prima di pubblicare il de peritia regnandi ha stampato un libro de principe senza sugo, ed assai lontano dall' improvviso accorgimento che mostra poco tempo dopo, e che gli svapora tantosto ne' libri posteriori: come dubitare, che l'imitatore non sia stato quest'ultimo, e che l'originale non sia stato il primo?

Mentre i libri del Machiavelli, il carteggio, le relazioni delle ambascerie concorrono alla stessa meta, in quelli del Nifo c'è una disuguaglianza, una sproporzione, uno sbalzo che ti dà negli occhi, e ti costringe a disdirgli quelle osservazioni sì fine, si aggiustate, si nuove che incontri nel de peritia regnandi. Vero è che talvolta t'imbatti in esempi, anche nuovi, che non si trovano nel Principe; che negli esempi antichi non di rado è più ricco; ma non è men vero, che di osservazioni nuove non ne trovi pur una; e che se intesse altri esempi, ei non

allarga mai la trama principale. Se, tralasciando le consuete. sue occupazioni, si dà alla trattazione di argomento politico, ti accorgi al passo mal certo che non è pratico della via, e che senza una guida ci si smarrirebbe. Ostenta sicurezza, ma non la sente promette qua e là altri libri su lo stesso tema, che poi non ha fatti; e pe' quali gli mancava la lena. Una volta dice che avrebbe indagate le cause, perchè gl'Imperatori in Italia avevan perduto riputazione: un'altra volta, che avrebbe discorso delle repubbliche, dopo esaminati i principati: or dove ha continuato queste ricerche? Il 1534 pubblicava i due libri de re aulica, e questi appunto mi han persuaso che la materia del de regnandi peritia era superiore alla sua coltura ed alla qualità del suo ingegno.

Altri indizi mi han fatto risolvere per la priorità del Machiavelli. I giudizi che porta, i consigli che suggerisce, Machiavelli li dà sicuro, senza tentennamenti, senza rimorso: si può dire che gli escono dell' animo, con l'incrollabile persuasione, che altrimenti di quel ch' ei dice non si può fare. Il Nifo nell'appropriarseli, sente quasi paura, li profferisce a mezza voce, ne gira la responsabilità ai tiranni, o a quelli che presso di loro han nome di prudentiores. Talvolta s' interrompe a dirittura, e colto da spavento esclama: ma cotesti son precetti da tiranno, son consigli da scellerati! Il Principe del Machiavelli è bello, schietto, e sereno nella scelleraggine, come il ritratto di Cesare Borgia dipinto da Leonardo da Vinci; o piuttosto la serenità proviene dalla coscienza che il bene ed il male non hanno divario quando si tratta di salvare lo Stato; mentre il Principe del Nifo veste un abito che non è fatto pel suo dosso; ci si muove a disagio, e ci fa brutta figura è Cesare Borgia travestito da professore, o da frate.

Guardando all'organismo intrinseco de'libri, tenendo ragione della varia attitudine de' rispettivi autori, noi siamo adunque indotti ad attribuire al Machiavelli la precedenza, in contraddizione dell'ordine delle date, in cui libri comparvero stampati.

Ora, come potè il Nifo conoscere il manoscritto del Machiavelli; come averlo, e servirsene?

È risaputo che morto il Duca d'Urbino, questo ultimo rampollo legittimo della Casa de' Medici, Papa Leone commise a parecchi, e tra gli altri al Machiavelli, di stendere un disegno di riformare lo Stato di Firenze: il Machiavelli accettò l'incarico, e sodisfece al desiderio del pontefice: della riforma sua però non se ne fece nulla; nè Machiavelli forse ci teneva gran che. Un altro disegno gli stava più a cuore, che forse non era molto gradito al Pontefice; il disegno di far capo a quel Giovanni de' Medici, che poi fu detto delle bande nere; il solo di Casa Medici che fosse abile condottiero, e dedito alle armi. Ecco come di questo disegno toccò Cesare Balbo: «Resta memoria d' un progetto di quella mente feconda di Machiavello, la quale colla sua costante preoccupazione dell' indipendenza si fa forse perdonare tanti altri errori ; il progetto che s'accostassero tutti gl'Italiani a Giovanni de' Medici, alle bande nere ch'eran le sole armi italiane rimanenti. » (Sommario, pag. 210 nell'ediz. di Losanna).

Morto Papa Leone addì 1 dicembre 1521, io stimo che il Machiavelli, a colorire il suo disegno, abbia messo in giro il suo manoscritto del Principe, per tirar dalla sua i suoi concittadini; perchè in quel libro appunto era comprovata la necessità di ricorrere ad armi proprie, ed a chi sapesse raccoglierle e guidarle.

Il Nifo, andato a Firenze, ne avrà avuto contezza, lo avrà letto, se ne sarà invaghito, ed avrà posto mano a rifarlo a modo suo. L'opera del Nifo è stata certamente cominciata a Pisa, perchè cita come fatti contemporanei (exemplo nunc sunt Mediolanenses) e l'insorgere de' Milanesi contro la gravosa signoria francese, e la splendida ed insperata vittoria di Prospero Colonna sopra l'esercito di Francesco I; la qual vittoria non può essere altra, che quella combattuta alla Bicocca tra l'anzidetto Colonna ed il Lautrec il 22 di aprile 1522. L'anno scolastico non era ancora finito, ed il Nifo doveva essere a Pisa. A Sessa, secondo il mio avviso, ha potuto essere composto il quinto libro, dove il modello del Machiavelli par perduto d'occhio, e l'intonazione è affatto cangiata.

GIORN.NAPOL.Vol.I.-Marzo 1879 (Nuova Serie).

15

Ma come non se ne accorse nessuno? E con qual fronte il Nifo poteva presentare a Carlo V il libro come frutto delle sue fatiche (tantorum laborum)?

All'autore poteva sembrare che quel tanto che vi aveva imbastito di suo gli desse facoltà di farlo passare per opera propria. E poi egli aveva dichiarato di averne tolta la materia da storici antichi e da moderni: Machiavelli era altro che uno storico? La veste scientifica non gliela aveva adattata lui?

Quanto ai contemporanei, bisogna scusarli; ovvero chi è senza colpa scagli la prima pietra. Sono stati forse più diligenti o più accorti i posteri? In tanta ostentazione di ricerche, chi ha notata la somiglianza a dì nostri, oltre al Settembrini che non ha nome di ricercatore; e che, come abbiamo visto, non s'era addentrato bene nelle ragioni del fatto avvertito? A Napoli, dove il libro fu stampato, il manoscritto del Machiavelli non poteva essere noto: l'avesse anche conosciuto, quel compiacentissimo Pietro Gravina si sarebbe guardato bene di darsene per inteso. Quando finalmente il Principe fu pubblicato per le stampe, erano già corsi otto anni, ed il libro del Nifo era probabilmente stato posto nel dimenticatoio. Dicono che Carlo V si compiacesse molto della lettura del Principe; e se ciò è vero, sarà stato egli il primo ad accorgersi della burla che gli aveva preparata il Cesare de' filosofi; quale il Nifo pretendeva di essere e di chiamarsi.

A noi intanto questa imitazione giova per mettere in sodo, che il Principe del Machiavelli correva manoscritto fin dal 1521; e che Agostino Nifo, a cui Leone X aveva conceduto di accoppiare al proprio il cognome di Casa Medici, fu il primo a stu diarlo ed a divulgarlo.

Di Pisa, il 1° marzo 1879.

F. FIORENTINO

LA POLITICA DEL MANZONI

Caro Tallarigo,

Mi domandi qualcosa per il tuo Giornale. Vedrò di servirti per quest' altra volta. Ma intanto ho il modo di farti un piacere assai maggiore di quel che mi domandi.

Un mio carissimo amico, e, quel che importa, valentissimo letterato milanese, LUIGI SAILER, che ora insegna nella scuola militare di Modena, m'ha scritta, intorno a que'miei Saggi Critici, dei quali tu hai lasciato dir troppo bene nel Giornale, una lunga lettera. Di questa un brano, che non riguarda punto me e dà preziosi cenni intorno all'argomento notato qui sopra, mi par utile pubblicare. Sono cenni improvvisati e senza pretesa; ma appunto perciò han più l'aspetto della sincerità. Addio. Tuo F. D'OVIDIO

... Quanto poi al tuo Saggio intorno alla politica del Manzoni, mi par bello che tu, il qual nell'ammirare ed amare il Manzoni non ti lasci superar da nessuno, ti sii tanto studiato di non offender la verità e di non oltrepassar la giusta misura nel determinar quanta fosse la efficacia politica di lui. Ed aggiungerò pure, che, considerate le opere del Manzoni relativamente all'Italia intera, forse tu hai ragione ad affermarne il valor politico solo in quei limiti che tu fai. Ma rispetto a Milano e alla Lombardia, il Manzoni esercitò anche politicamente tale efficacia, quale non possono adeguatamente apprezzare nemmeno i Lombardi che non erano adulti fra il 1815 e il 1848. E qui bisogna che io insista sopra una verità che ora non si vuol più credere, perchè sembra assurda, non che inverosimile; ed è, che il Manzoni scrisse il suo lavoro, o, com'egli lo chia

« НазадПродовжити »