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lasciarono questa, ammirandola, e venerandola. Non è dunque da doversi maravigliare, se questa fama di lei sì cospicua destò anche in me il desiderio di acquistar fama chiarissima, e raddolci le fatiche asprissime, che io durai per poterla acquistare. Imperciocchè io giovane quale altra cosa mai desiderava, se non che di piacere a lei, ed a lei sola, la quale pur sola era piaciuta a me? (12) Ma venghiamo ad altre cose.

La superbia io conobbi in altrui, ma non in me ; e benchè io mi sia stato sempre uomo di poco pregio, pur di minore mi tenni nel mio giudizio. L'ira spesso nocque a me, ad altru non mai. Fui desiderosissimo delle oneste amicizie, e nel conservarle fedelissimo. L'animo mio fu disdegnoso oltre modo ma francamente io me ne glorio, perchè sò dire il vero, prontissimo a dimenticar del tutto le offese, e tenacissimo nel ricordare i benefizi. Nelle famigliarità de' Principi e de' Re, e nelle amicizie de' nobili fui, fino a destarne in altrui l'invidia, avventurato. I Re più grandi, e della mia età, mi amarono, e mi onorarono; il perchè non so; eglino stessi sel veggano. Ed io fui con alcuni di loro così, come in certo modo essi fossero con me ; e della loro altezza mai nessun tedio, e molti comodi io n' ebbi .

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Il mio ingegno fu buono più, che acuto, e fu atto ad ogni bello e salutifero studio ; ma principalmente inclinato alla filosofia morale, ed alla poesia. La quale pure nel processo del tempo io trascurai, più dilettandomi delle sacre lettere, nelle quali sentii quella nascosta dolcezza, che per lo innanzi io non aveva gustata, e le poetiche lettere ad altro non ritenni, che ad ornamento. Io attesi unicamente, neʼmolti miei studi, alla conoscenza dell'antichità, poichè questa età mia sempre mi dispiacque; così che se l'amor de' miei più cari non avesse creato una contraria voglia in me, sempre io avrei anzi tolto d'essere nato in ogni altra età, che in questa ; ed or, di questa dimenticandomi, vorrei con l'animo continuamente affi

sarmi nell' altre. Per tanto mi dilettai degli storici scrittori, pur molto rincrescendomi, ch' essi non fossero in tutto concordi: ma nè dubbj io seguitai quella sentenza, alla quale traevami o la verisimiglianza delle cose, o l'autorità degli scrittori. La mia orazione fu, come dissero alcuni, chiara e potente; ma, come a me parve, debile ed oscura: nel comun parlare poi cogli amici, o famigliari, non posi mai alcuno studio di eloquenza; e mi maraviglio, che così fatto studio abbiavi posto Cesare Augusto. Pur dove mi parve, che richiedesse altramente o la cosa stessa, o il luogo, o l' uditore, v’adoperai l'ingegno; il che quanto abbia io fatto e fficacemente, il giudichino quegli, alla cui presenza io ebbi a favellare.

Ora dirò come la fortuna, o la volontà mia partì il mio tempo. In Arezzo, dove, come ho detto, la natura m'avea dato alla luce, fui il primo anno, pur non intero, della mia vita; i sei anni seguenti in Ancisa, nella villa di mio padre, quattordici miglia di sopra di Firenze. Essendo stata richiamata la madre mia dall'esilio; l'ottavo in Pisa ; il nono ed altri appresso nella Gallia Transalpina, alla riva sinistra del Rodano, in Avignone. Quivi alla riva di quel fiume ventosissimo passai la puerizia sotto la disciplina de' genitori ; indi sotto quella delle mie vanità tutta l'adolescenza; pur non senza grandi mutazioni. Imperciocchè in questo tempo io dimorai quattro intieri anni in Carpentrasso, piccola città vicina ad Avignone verso l'oriente; nelle quali due città appresi qualche poco di grammatica, di dialettica, e di rettorica, quanto 'I potei in quella età, quanto cioè nelle scuole si suole apprendere; il che quanto poco sia stato, chi legge l' intenderà. Dipoi venni a Montpellier per istudiarvi le leggi, e vi dimorai altri quattro anni; indi a Bologna, e vi stetti tre anni, e vi udii leggere tutto il corpo del diritto civile, nel che io era per avanzare assai, come molti stimavano, se non me ne fossi rimaso. Ma io lasciai tutto quello studio, tostochè più non fui

sotto la cura de' genitori, non perchè non mi piacesse l'autorità delle leggi, la quale senza dubbio e grande, ed è piena dell'antichità Romana, che mi diletta assai; ma perchè l'uso di quelle spesso è depravato dalla malizia degli uomini: però m' increbbe d'imparare quello, di cui non avrei voluto usare inonestamente; ed onestamente, a gran pena avrei potuto ; e se l'avessi voluto, sarebbesi ad ignoranza attribuita l'integrità .

Quindi nell'età d'anni ventidue tornai nella patria mia: patria mia dico Avignone, dove nel mio esilio dal fin dell' infanzia io ebbi a dimorare; imperciocchè l'usanza a poco a poco mutasi quasi in natura. Ivi dunque io cominciai ad essere conosciuto, e la mia famigliarità fu desiderata da gran personaggi. Perchè ciò fosse, confesso ora di non sapere, e di maravigliarmene ; ma allora io non me ne maravigliava, perchè, come sogliono i giovani, io mi credea degnissimo d'ogni onore. E primieramente io fui desiderato dalla chiara e nobilissima famiglia de' Colonnesi, la quale allora frequentava, anzi, a meglio dire, illustrava la Curia Romana . Quindi io chiamato da quella famiglia, ed avuto in tal onore, quale non so sè al presente, pur allora certo non mi si dovea; e dall' illustre e incomparabile Iacopo Colonna, allora vescovo di Lombez, uomo, a cui non so se l' uguale abbia io veduto mai, o se il vedrò; condotto io in Guascogna, sotto i colli Pirenei, passai, con molta giocondità e del padrone, e de' compagni, una state quasi di paradiso, così che ricordando quel tempo, sempre il sospiro. Di là tornato, io fui molti anni col Cardinale Giovanni Colonna, fratello di Iacopo, non come sotto a padrone, ma come sotto a padre; anzi neppur ciò, ma come insieme con un fratello amantissimo; anzi come con meco e nella propria casa mia .

Nel qual tempo il giovenile appetito mi mosse a viaggiare nelle Gallie, e nell' Alemagna. De lla qual cosa benchè io fingessi altre cause, acciocch' ella fosse da' miei maggiori appro

vata, pur la vera causa fu l'ardente mio desiderio di veder molte cose. (13) Sollecitamente però contemplai i costumi degli uomini, e mi dilettai della veduta di nuove terre ; e quelle cose tutte, ch' io vidi, ad una ad uua paragonai con le nostre. E benchè io n'abbia veduto di molte e di magnifiche, pur mai non m'increbbe dell' Italica mia origine; anzi a dir vero, come in più lontani luoghi io viaggiai, più crebbe in me l'ammirazione del suolo Italiano. (14) Ne' miei viaggi primieramente io vidi Parigi, e mi piacque di ricercare ciò, che di quella città si narrava o di vero, o di favoloso. Di là ritornato, me n'andai a Roma; del veder la quale io ardeva di desiderio sino dalla mia infanzia; ed ivi Stefano Colonna, padre magnanimo di quella famiglia, uomo pari a qualsisia degli antichi, io ebbi in onore così, e così io fui pure accetto a lui, che tu avresti detto, non essere alcuna differenza tra me, e qualsivoglia de' figli suoi. Il quale affetto ed amore d'uomo si eccellente durò sempre in lui d'un tenore medesimo verso di me sino all' ultimo giorno della sua vita; ed in me ancora ne vive si la rimembranza, che non verrà meno giammai, se prima non verrò meno io medesimo. Anche di là partii; perocchè non potei sostenere di quella città così, come di tutte l'altre, il fastidio insertomi nell' animo da natura.

Indi cercando un luogo riposto da ricoverarmi come in un porto, ritrovai una valle ben piccola, ma solinga ed amena, la quale è detta Chiusa, distante quindici miglia da Avignone, dove nasce il fonte Sorga, re di tutt'i fonti. Preso dalla doleezza del luogo mi trasferii in quello, e con meco i miei libricciuoli. (15) Quinci io composi que' volgari cantici delle pene mie giovenili; de' quali or mi vergogno, e mi pento; pur gratissimi, come vediamo, a quelli, che sono presi dallo stesso male. (16) Lunga storia sarebbe se io volessi narrare ciò. ch'ivi io ho fatto per molti e molti anni. Pur la somma è questa; che quasi tutte l'operette, che mi vennero fatte, ivi o le

numero,

ho scritte, o le ho pensate : le quali sono state in così grande che insino a questa età mi danno che fare, e faticare assai. Imperciocchè come il mio corpo, così il mio ingegno ebbe più destrezza, che forza. Quivi l'aspetto stesso de' luoghi mi mosse a scrivere de' versi buccolici, materia silvestre, e due libri della vita solitaria a Filippo, uomo sempre grande , pur allora piccolo vescovo di Cavaglione, or grande vescovo di Sabinia, e Cardinale; il quale solo di tutti gli antichi miei Signori ancora vive: esso con fratellevoli modi mi amò, e mi ama. Movendo io poi per que' monti un venerdi della gran settimana, caddemi, e fortemente nell' animo, di scrivere in versi eroici un poema de' gesti di Scipione Africano, quel primo, il cui nome nella mia prima età mi fu caro, di poi maraviglioso. Presi a scrivere con grand' impeto, ma da varie cure distratto mi convenne intermettere. Il nome d'Africa posi al libro; libro da molti avuto in pregio, non so per qual sua o mia ventura, prima che conosciuto.

Mentre io dimorava in que' luoghi, mi pervennero in un medesimo giorno (mirabile cosa a dire) lettere e da Roma deł Senato, e da Parigi del Cancelliere dello Studio, le quali mi chiamavano quasi a gara, quelle a Roma, queste a Parigi, a ricevere la poetica laurea. Delle quali lettere, glorificandomi io giovanilmente, e giudicandomi degno di quell' onore, del quale mi giudicavano degno uomini sì grandi, e riguardando non il merito mio, ma il giudizio altrui, dubitai pure alcun poco, a cui piuttosto io dovessi dare orecchio. Sopra il qual dubbio io chiesi per lettera il consiglio del sopraddetto Cardinale Giovanni Colonna ; il quale era sì di presso a me, che avendogli io scritto la sera, n' ebbi la risposta il dì seguente avanti terza; ed appigliandomi io al consiglio di lui, deliberai dover esser preferita Roma, per l'autorità sua, ad ogni altra città; e della mia approvazione del consiglio di Giovanni sonoyi due lettere da me a lui scritte.

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