Per lo più ardente Sole, e per la neve, Non fur giammai veduti sì begli occhi, O nella nostra etade, o ne' prim' anni; Ch' Amor conduce a piè del duro lauro, I' temo di cangiar pria volto, e chiome, Che, s'al contar non erro, oggi ha sett'anni, Che sospirando vo di riva in riva La notte, e'l giorno, al caldo, ed alla neve. Dentro pur foco, e for candida neve, Sol con questi pensier, con altre chiome L'auro, e i topazj al Sol sopra la neve SONETTO XVIII. Laura, morendo, avrà certamente il seggio più alto della gloria del Cielo. Que uest' anima gentil, che si diparte Anzi tempo chiamata all' altra vita; S'ella riman fra 'l terzo lume, e Marte, Poi ch'a mirar sua bellezza infinita Se si posasse sotto 'l quarto nido, Nel quinto giro non abitrebb'ella : SONETTO XIX. Non attende pace, nè disinganno del suo Quanto più m'avvicino al giorno estremo, Che l'umana miseria suol far breve, I' dico a' miei pensier: Non molto andremo D'amor parlando omai; che 'l duro e greve Terreno incarco, come fresca neve, Si va struggendo: onde noi pace avremo: Perchè con lui cadrà quella speranza, Si vedrem chiaro poi, come sovente SONETTO XX. Laura inferma gli apparisce in sogno, e lo assicura, ch'ella ancor vive. Grià fiammeggiava l'amorosa stella Per l'Oriente, e l'altra, che Giunonę Levata era a filar la vecchiarella Discinta e scalza, e desto avea 'l carbone: Quando mia speme già condotta al verde Giunse nel cor, non per l' usata via; Che'l sonno tenea chiusa e 'l dolor molle; Quanto cangiata, oimè, da quel di pria! E parea dir: Perchè tuo valor perde? Veder questi occhi ancor non ti si tolle. SONETTO XXI. Raffigura la sua Donna ad un lauro, e prega Apollo; s'ancor vive il bel desio, Che t'infiammava alle Tessaliche onde; Dal pigro gelo, e dal tempo aspro e rio, E per virtù dell' amorosa speme, Che ti sostenne nella vita acerba, Si vedrem poi per maraviglia insieme E far delle sue braccia a se stess' ombra. |