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SONETTO CXCVIII.

Struggesi per lei; e sdegnato si maraviglia, ch'ella ciò non vegga anche dormendo.

Far potess'io vendetta di colei,

Che, guardando e parlando, mi distrugge; E per più doglia poi s'asconde, e fugge, Celando gli occhi a me sì dolci e rei:

Così gli afflitti e stanchi spirti miei
A poco a poco consumando sugge;
E 'n sul cor, quasi fero leon, rugge
La notte, allor quand' io posar devrei.

L'alma, cui Morte del suo albergo caccia,
Da me si parte; e di tal nodo sciolta
Vassene pur a lei, che la minaccia.

Maravigliomi ben, s'alcuna volta

Mentre le parla, e piange, e poi l' abbraccia,

Non rompe

'l sonno suo,

s'ella l'ascolta

SONETTO CXCIX.

La guarda fiso; ed ella copresi il volto. Qual novo diletto nel voler rivederlo!

In

In quel bel viso, ch'i' sospiro e bramo,
Fermi eran gli occhi desiosi e 'ntensi;

Quand' Amor porse, quasi a dir: Che pensi?
Quell'onorata man, che secondo amo.

Il cor preso ivi, come pesce

all'amo,

Onde a ben far per vivo esempio viensi,
Al ver non volse gli occupati sensi;
O come nuovo augello al visco in ramo:

Ma la vista privata del suo obbietto,
Quasi sognando, si facea far via;
Senza la qual il suo ben è imperfetto:

L'alma tra l'una e l'altra gloria mia
Qual celeste non so novo diletto,
E qual strania dolcezza si sentia.

SONETTO CC.

La lieta accoglienza di Laura oltre'l costume, fecelo quasi morir di piacere.

Vive faville uscian de' duo bei lumi

Ver me si dolcemente folgorando;
E parte d'un cor saggio, sospirando,
D'alta eloquenza si soavi fiumi;

Che

pur il rimembrar par mi consumi, Qualor a quel dì torno ripensando, Come venieno i miei spirti mancando Al variar de' suoi duri costumi.

L'alma nudrita sempre in doglie, e 'n pene, (Quant'è 'l poter d'una prescritta usanza!) Contra 'l doppio piacer sì inferma fue;

Ch' al gusto sol del disusato bene,

Tremando or di

paura, or di speranza, D'abbandonarmi fu spesso intra due.

SONETTO CCI.

Nel pensar sempre a lei, gli dà pena di sovvenirsi anche del luogo, dov'ella stà.

Cercato ho

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sempre solitaria vita. (Le rive il sanno, e le campagne, e i boschi Per fuggir quest' ingegni sordi e loșchi, ⠀ Che la strada del Ciel hanno smarrita :

E se mia voglia in ciò fosse compita,
Fuor del dolce aere de' paesi toschi
Ancor m'avria tra' suoi be' colli foschi
Sorga, ch'a pianger e cantar m'aita.

Ma mia fortuna, a me sempre nemica,

Mi risospigne al loco, ov' io mi sdegno
Veder nel fango il bel tesoro mio,

Alla man, ond' io scrivo, è fatta amica

A questa volta; e non è forse indegno:
Amor sel vide; e sal Madonna, ed io.

SONETTO CCII.

La bellezza di Laura è gloria di Natura; e però non v'ha donna, a cui si pareggi.

In tale stella duo begli occhi vidi,

Tutti pien d'onestate, e di dolcezza;
Che presso a quei d' Amor leggiadri nidi
Il mio cor lasso ogni altra vista sprezza.

Non si pareggi a lei qual più s'apprezza

In qualch' etade, in qualche strani lidi;
Non chi recò con sua vaga bellezza

In Grecia affanni, in Troia ultimi stridi;

Non la bella Romana, che col ferro
April suo casto e disdegnoso petto;
Non Polissena, Issifile, ed Argia.

Questa eccellenzia è gloria (s' i' non erro)
Grande a Natura, a me sommo diletto:
Ma che? vien tardo, e subito va via.

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