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SONETTO CLXXXVIII.

La morte di Laura sarà un danno pubblico, e brama perciò di morire prima di lei.

Laura, che 'l verde Lauro, e l'aureo crine
Soavemente sospirando move,

Fa con sue viste leggiadrette e nove
L'anime da' lor corpi pellegrine.

Candida rosa nata in dure spine!

Quando fia chi sua pari al mondo trove?
Gloria di nostra etate! O vivo Giove,

Manda, prego, il mio in prima, che 'l suo fine;

Si ch'io non veggia il gran pubblico danno,
E'l mondo rimaner senza 'l suo Sole;

Nè gli occhi miei, che luce altra non hanno;

Nè l'alma, che pensar d' altro non vole;
Nè l'orecchie, ch'udir altro non sanno
Senza l'oneste sue dolci parole.

SONETTO CLXXXIX.

Perchè nessun dubiti d'un eccesso nelle sue lodi, invita tutti a vederla .

Parrà forse ad alcun, che ʼn lodar quella,

Ch'i' adoro in terra, errante sia 'l mio stile,
Facendo lei sovr' ogni altra gentile,
Santa, saggia, leggiadra, onesta, e bella:

A me par il contrario; e temo, ch'ella
Non abbi' a schifo il mio dir troppo umile,
Degna d'assai più alto, e più sottile;
E chi nol crede, venga egli a vedella.

Si dirà ben: Quello, ove questi aspira,
È cosa da stancar Atene, Arpino,
Mantova, e Smirna, e l'una e l'altra Lira.

Lingua mortale al suo stato divino

Giunger non pote: Amor la spinge, e tira
Non per elezion, ma per destino.

SONETTO CXC.

Chiunque l'avrà veduta dovrà confessare, che non si può mai lodarla abbastanza.

Chi vuol veder quantunque può Natura,

E

E'l Ciel tra noi, venga a mirar costei,
Ch'è sola un Sol, non pur agli occhi miei,
Ma al mondo cieco, che vertù non cura:

venga tosto; perchè Morte fura
Prima i migliori, e lascia star i rei:
Questa aspettata al regno degli Deì
Cosa bella mortal passa, e non dura.

Vedrà, se arriva a tempo, ogni virtute,
Ogni bellezza, ogni real costume
Giunti in un corpo con mirabil tempre.

Allor dirà, che mie rime son mute,
L'ingegno offeso dal soverchio lume :

Ma se più tarda, avrà da pianger sempre.

SONETTO CXCI.

Pensando a quel dì, in cui lasciolla sì trista,
teme della salute di lei.

Qual

paura ho, quando mi torna a mente Quel giorno, ch'i' lasciai grave, e pensosa Madonna, e 'l mio cor seco! e non è cosa, Che si volentier pensi, e sì sovente .

I' la riveggio starsi umilemente

Tra belle donne, a guisa d' una rosa
Tra minor fior; nè lieta, nè dogliosa,
Come chi teme, ed altro mal non sente.

Deposta avea l'usata leggiadria,

Le perle, e le ghirlande, e i panni allegri,
E'l riso, e 'l canto, e 'l parlar dolce umano.

Così in dubbio lasciai la vita mia:

Or tristi augurj, e sogni, e pensier negri
Mi danno assalto; e piaccia a Dio, che'n vane.

SONETTO CXCII.

Laura gli apparisce in sonno, e gli toglie la speranza di rivederla.

Solea lontana in sonno consolarme

Con quella dolce angelica sua vista
Madonna: or mi spaventa, e mi contrista;
Nè di duol, nè di tema posso aitarme :

Che

spesso nel suo volto veder par me Vera pietà con grave dolor mista; Ed udir cose, onde 'l cor fede acquista, Che di gioia, e di speme si disarme.

Non ti sovven di quell'ultima sera,

Dic' ella, ch'i' lasciai gli occhi tuoi molli, E sforzata dal tempo me ne'andai?

I' non tel potei dir allor, nè volli;
Or tel dico per cosa esperta, e vera:
Non sperar di vedermi in terra mai.

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