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SONETTO CLXXII.

Invidia la sorte dell' aura, che spira, e del fiume,
che scorre d'intorno a lei.

Aura, che quelle chiome bionde e crespe

Circondi, e movi, e seʼmossa da loro
Soavemente, e spargi quel dolce oro,
E poi 'l raccogli, e 'n bei nodi 'l rincrespe;

Tu stai negli occhi, ond'amorose vespe

Mi pungon sì, che 'nfin

sì, che 'nfin qua il sento, e ploro;

E vacillando cerco il mio tesoro,

Com' animal, che spesso adombre, e 'ncespe:

Ch' or mel par ritrovar, ed or m'accorgo,
Ch'i' ne son lunge; or mi sollevo, or caggio:
Ch'or quel, ch'i' bramo, or quel, ch'è vero, scorge.

Aer felice, col bel vivo raggio

Rimanti; e tu, corrente e chiaro gorgo:
Che non poss'io cangiar teco viaggio?

SONETTO CLXXIII.

Essa, qual lauro, pose nel di lui cuor le radici ; vi cresce, e l'ha con se da per tutto

Amor con la man destra il lato manco

M'aperse; e piantovv'entro in mezzo 'l core Un Lauro verde sì, che di colore

Ogni smeraldo avria ben vinto, e stanco.

Vomer di penna con sospir del fianco,

E 'l piover giù dagli occhi un dolce umore L'adornar sì, ch'al ciel n' andò l'odore, Qual non so già, se d'altre frondi unquanco.

Fama, onor, e virtute, e leggiadria,
Casta bellezza in abito celeste
Son le radici della nobil pianta .

Tal la mi trovo al petto, ove ch'i' sia:
Felice incarco; e con preghiere oneste
L' adoro, e 'nchinò, come cosa santa.

SONETTO CLXXIV.

Benchè in mezzo agli affanni, ei pensa
d'essere il più felice di tutti.

Cantai; or piango; e non men di dolcezza

Del pianger prendo, che del canto presi : Ch' alla cagion, non all' effetto intesi Son i miei sensi vaghi pur d'altezza.

Indi e mansuetudine, e durezza,
Ed atti feri, ed umili, e cortesi
Porto egualmente; nè mi gravan pesi;
Nè l'arme mie punta di sdegni spezza.

Tengan dunque ver me l'usato stile

Amor, Madonna, il mondo, e mia fortuna: Ch'i' non penso esser mai se non felice.

Arda, o mora, o languisca; un più gentile
Stato del mio non è sotto la Luna:

Sì dolce è del mio amaro la radice.

SONETTO CLXXV.

Tristo, perchè lontano da lei, al rivederla si rasserena, e ritorna in vita.

I' piansi ; or canto; che 'l celeste lume
Quel vivo Sole agli occhi miei non cela,
Nel qual onesto Amor chiaro rivela
Sua dolce forza, e suo santo costume:

Onde e' suol trar di lagrime tal fiume
Per accorciar del mio viver la tela;

Che non pur ponte, o guado, o remi, o vela,
Ma scampar non potiemmi ale, nè piume.

Sì profond' era, e di sì larga vena
Il pianger mio, e sì lungi la riva ;
Ch' i'v' aggiungeva col pensier appena .

Non lauro, o palma, ma tranquilla oliva
Pietà mi manda; e 'l tempo rasserena ;
E'l pianto asciuga; e vuol ancor, ch'i' viva.

SONETTO CLXXVI.

Trema, che il male sopravvenuto a Laura negli occhi, lo privi della lor vista.

I'mi vivea di mia sorte contento

Senza lagrime, e senza invidia alcuna:
Che s'altro amante ha più destra fortuna,
Mille piacer non vaglion un tormento.

Or que' begli occhi, ond' io mai non mi pento
Delle mie pene, e men non nè voglio una,
Tal nebbia copre, si gravosa e bruna
Che 'l Sol della mia vita ha quasi spento.

O Natura, pietosa e fera madre,

Onde tal possa, e sì contrarie voglie,
Di far cose e disfar tanto leggiadre ?

D'un vivo fonte ogni poder s' accoglie:
Ma tu, come 'l consenti, o sommo Padre,
Che del tuo caro dono altri ne spoglie ?

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