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SONETTO CXXXVI.

Prega il Sole a non privarlo della vista del Beato paese di Laura.

Almo Sol; quella fronde, ch' io sola amo, Tu prima amasti: or sola al bel soggiorno Verdeggia, e senza par, poi che l' adorno Suo male, e nostro vide in prima Adamo.

Stiamo a mirarla: i' ti pur prego e chiamo, O Sole; e tu pur fuggi; e fai d'intorno Ombrare i poggi, e te ne porti 'l giorno; E fuggendo mi toi quel, ch'i'più bramo.

L'ombra, che cade da quell'umil colle,
Ove favilla il mio soave foco,

Ove 'l gran lauro fu picciola verga ;

Crescendo, mentr'io parlo, agli occhi tolle La dolce vista del beato loco,

Ove 'l mio cor con la sua Donna alberga.

SONETTO CXXXVII.

Paragonasi ad una nave in tempesta, e che incomincia a disperare del porto .

Passa

assa la nave mia colma d'obblio

Per aspro mare a mezza notte il verno

Infra Scilla, e Cariddi; ed al

governo Siede 'l signor, anzi 'l nemico mio.

A ciascun remo un pensier pronto e rio,

Che la tempesta e 'l fin par, ch'abbi'a scherno:
La vela rompe un vento umido eterno
Di sospir, di speranze, e di desio.

Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni,
Bagna e rallenta le già stanche sarte;
Che son d'error con ignoranza attorlo.

Celansi i duo miei dolci usati segni;

Morta fra l'onde è la ragion, e l'arte;
Tal ch'incomincio a disperar del porto.

SONETTO CXXXVIII.

Contempla estatico Laura in visione, e predice, dolente, la morte di lei.

Una candida cerva sopra l' erba

Verde m'apparve con duo corna d'oro
Fra due riviere all'ombra d'un Alloro,
Levando 'l Sole alla stagion acerba,

Era sua vista sì dolce superba,

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Ch'i' lasciai per seguirla ogni lavoro;
Come l'avaro, che 'n cercar tesoro,
Con diletto l' affanno disacerba.

Nessun mi tocchi,, al bel collo d'intorno Scritto aveva di diamanti, e di topazj; Libera farmi al mio Ce sare parve „·

Ed era 'l Sol già volto al mezzo giorno;

Gli occhi miei stanchi di mirar, non sazj; Quand' io caddi nell' acqua, ed ella sparve..

SONETTO CXXXIX.

Ripone tutta la sua felicità solo nel contemplar le bellezze di Laura.

Siccome

Piccome eterna vita è veder Dio,
Nè più si brama, nè bramar più lice;
Così me, Donna, il voi veder, felice
Fa in questo breve, e frale viver mio.

Nè voi stessa, com' or, bella vid' io

Giammai, se vero al cor l'occhio ridice;
Dolce del mio pensier ora beatrice,
Che vince ogni alta speme, ogni desio.

E se non fosse il suo fuggir sì ratto,

Più non dimanderei: che s' alcun vive
Sol d'odore, e tal fama fede acquista ;

Alcun d'acqua, o di foco il gusto, e 'l tatto
Acquetan, cose d'ogni dolzor prive;
I' perchè non della vostr'alma vista?

SONETTO CXL.

Invita amore a veder il bell'andamento, e gli atti dolci e soavi di Laura.

Stiamo, Amor, a veder laglor ia nostra,

Cose sopra natura altero e nove:

Vedi ben, quanta in lei dolcezza piove;
Vedi lume, che 'l cielo in terra mostra.

Vedi, quant' arte dora, e 'mperla, e 'nnostra
L'abito eletto, e mai non visto altrove;
Che dolcemente i piedi, e gli occhi move
Per questa di bei colli ombrosa chiostra.

L'erbetta verde, e i fior di color mille
Sparsi sotto quell' elce antica e negra,
Pregan pur, che 'l bel piè li prema, o tocchi;

E 'l ciel di vaghe e lucide faville

S'accende intorno, e'n vista si rallegra
D'esser fatto seren da si begli occhi.

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