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SONETTO CXXXI.

Se i dolci sguardi di lei lo tormentano a morte,
sarebbe se glieli negasse ?

e'l dolce sguardo di costei m'ancide,

E le soavi parolette accorte;

E s'amor sopra me la fa si forte

Sol quando parla, ovver quando sorride;

Lasso, che fia, se forse ella divide,

0 per mia colpa, o per malvagia sorte
Gli occhi suoi da mercè, sì, che di morte

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Là, dov'or m'assecura, allor mi sfide?

Però s'i' tremo, e vo col cor gelato

Qualor veggio cangiata sua figura ;
Questo temer d'antiche prove è nato.

Femmina è cosa mobil per natura:
Ond'io so ben, ch'un amoroso stato
In cor di donna picciol tempo dura.

che

SONETTO CXXXII.

Si addolora, e teme, che l'infermità, in cui Laura si trova, le tolga la vita

Amor, Natura, e la bell'alma umile,

Ov❜ ogni altra virtute alberga, e regna, Contra me son giurati. Amor s'ingegna, Ch'i' mora affatto; e 'n ciò segue suo stile:

Natura tien costei d'un sì gentile

Laccio, che nullo sforzo è, che sostegna:
Ella è si schiva, ch'abitar non degna
Più nella vita faticosa e vile.

Così lo spirto d'or in or vien meno
A quelle belle care membra oneste,
Che specchio eran di vera leggiadria .

E's'a Morte Pietà non stringe il freno, Lasso, ben veggio, in che stato son queste Vane speranze, ond' io viver solia.

SONETTO CXXXIII.

Attribuisce a Laura le bellezze tutte, e le rare doti della Fenice.

Ques

uesta Fenice, dell' aurata piuma
Al suo bel collo candido gentile

Forma senz'arte un sì caro nionile,
Ch'ogni cor addolcisce, e'l mio consuma:

Forma un diadema natural, ch'alluma
L'aere d'intorno; e 'l tacito focile
Di Amor tragge indi un liquido sottile
Foco, che m'arde alla più algente bruma.

Purpurea vesta d'un ceruleo lembo

Sparso di rose i belli omeri vela ;
Novo abito, e bellezza unica e sola.

Fama nell'odorato e ricco grembo
D' Arabi monti lei ripone, e cela,
per lo nostro ciel sì altera vola.

Che

SONETTO CXXXIV.

I più famosi poeti non avrebber cantato che di Laura, se l'avesser veduta.

Se Virgilio ed Omero avessin visto

Quel Sole, il qual vegg' io con gli occhi miei,
Tutte lor forze in dar fama a costei
Avrian posto, e l'un stil con l'altro misto:

Di che sarebbe Enea turbato e tristo,
Achille, Ulisse, e gli altri Semidei;
E quel, che resse anni cinquantasei
Si bene il mondo, e quel, ch' ancise Egisto.

Quel fior antico di virtuti, e d'arme,
Come sembiante stella ebbe con questo
Novo fior d'onestate, e di bellezze!

Ennio di quel cantò ruvido carme;

Di quest' altr'io: ed o pur non molesto

Gli sia'l mio ingegno, e'l mio lodar non sprezze!

SONETTO CXXXV.

Teme, che le sue rime non sien atte a celebrar degnamente le virtu di Laura.

Giunto Alessandro alla famosa tomba

Del fero Achille, sospirando disse:
O fortunato, che sì chiara tromba
Trovasti, e chi di te si alto scrisse!

Ma questa pura e candida colomba,

A cui non so s'al mondo mai par visse
Nel mio stil frale assai poco rimbomba:
Così son le sue sorti a ciascun fisse.

Che d'Omero dignissima, e d' Orfeo,
O del pastor, ch'ancor Mantova onora,
Ch' andassen sempre lei sola cantando;

Stella difforme, e fato sol quì reo

Commise a tal, che 'l suo bel nome adora; Ma forse scema sue lode parlando.

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