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SONETTO CXI.

Invidia tutti quegli oggetti e que' luoghi, che la veggono, toccano, e ascoltano.

Lieti fiori e felici, e ben nate erbe,

Che Madonna, pensando, premer sole;
Piaggia, ch'ascolti sue dolci parole,
E del bel piede alcun vestigio serbe;

Schietti arboscelli, e verdi frondi acerbe;
Amorosette e pallide viole;

Ombrose selve, ove percote il Sole,
Che vi fa co' suoi raggi alte e superbe ;

O soave contrada; o puro fiume,

Che bagni 'l suo bel viso, e gli occhi chiari,
E prendi qualità dal vivo lume;

Quanto v' invidio gli atti onesti e cari!

Non fia in voi scoglio omai, che per costume
D'arder con la mia fiamma non impari.

SONETTO CXII.

Soffrirà costante le pene di Amore, purchè Laura il vegga, e ne sia contenta.

Amor,

che vedi ogni pensiero aperto,

E i duri passi, onde tu sol mi scorgi;
Nel fondo del mio cor gli occhi tuoi porgi,
A te palese, a tutt'altri coverto.

Sai quel, che per seguirti ho già sofferto;
E tu pur via di poggio in poggio sorgi
Di giorno in giorno; e di me non t'accorgi,
Che son si stanco, e 'l sentier m' è tropp' erto.

Ben vegg'io di lontano il dolce lume,
Ove per aspre vie mi sproni e giri:
Ma non ho, come tu, da volar piume.

Assai contenti lasci i miei desiri,

Pur che ben desiando i'mi consume,
Nè le dispiaccia, che

Tom. I.

per lei sospiri.

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SONETTO CXIII.

E

sempre agitato, perchè Laura può farlo morir e rinascere ad ogni stante.

Or, che 'l ciel, e la terra, e'l vento tace,

E le fere, e gli augelli il sonno affrena,
Notte 'l carro stellato in giro mena,

E nel suo letto il mar senz'onda giace;

Veggio, penso, ardo, piango; e chi mi sface, Sempre m'è innanzi mia dolce pena:

per

Guerra è'l mio stato, d'ira e di duol piena; E sol di lei pensando ho qualche pace.

Così sol d'una chiara fonte viva

Move 'l dolce e l'amaro, ond' io mi pasco: Una man sola mi risana e punge.

E perchè 'l mio martir non giunga a riva,
Mille volte il dì moro, e mille nasco:
Tanto dalla salute mia son lunge,

SONETTO CXIV.

El portamento di lei, gli sguardi, gli atti,
e le parole lo rendono estatico.

Come

Aome 'l candido piè per

'erba fresca

I dolci passi onestamente move;
Vertù che 'ntorno i fior apra e rinnove,
Delle tenere piante sue par, ch'esca.

Amor, che solo i cor leggiadri invesca,
Nè degna di provar sua forza altrove;
Da' begli occhi un piacer si caldo piove,
Ch'i'non curo altro ben, nè bramo altr'esca:

E con l'andar, e col soave sguardo
S'accordan le dolcissime parole,
E l'atto mansueto, umile, e tardo.

Di tai quattro faville, e non già sole,
Nasce 'l gran, foco di ch'io vivo, ed ardo:
Che son fatto un augel notturno al Sole.

SONETTO CXV.

Va fuori di se nell'atto, ch' essa, pria di cantare, abbassa gli occhi, e sospira.

Quar

uando Amor i begli occhi a terra inchina, Ei vaghi spirti in un sospiro accoglie Con le sue mani, e poi in voce gli scioglie Chiara, soave, angelica, divina;

Sento far del mio cor dolce rapina,
E si dentro cangiar pensieri e voglie,
Ch'i' dico: Or fien di me l'ultime spoglie,
Se 'l Ciel si onesta morte mi destina:

Ma 'l suon,

che di dolcezza i sensi lega, Col gran desir d' udendo esser beata L'anima, al dipartir presta, raffrena .

Così mi vivo; e così avvolge, e spiega
Lo stame della vita, che m'è data,
Questa sola fra noi del ciel Sirena.

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