SONETTO LI Se l'ardore amoroso cresce ancora sì forte, S'al principio risponde il fine, e'l mezzo Del quartodecim' anno, ch' io sospiro, Amor, con cu' i pensier mai non han mezzo, Sotto 'l cui giogo giammai non respiro; Tal ini governa, ch'i' non son già mezzo Per gli occhi, ch' al mio mal si spesso giro, Così mancando vo di giorno in giorno, Sì chiusamente, ch' i' sol me n'accorgo, Appena infin a qui l'anima scorgo; Nè so quanto fia meco il suo soggiorno : SESTINA IV. Mal affidatosi alla fragil nave d'Amore, prega Dio, che lo drizzi a buon porto. Chi è fermato di menar sua vita Su per l'onde fallaci e per gli scogli, L'aura soave, a cui governo e vela Con misi entrando all' amorosa vita, E sperando venire a miglior porto; Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno. Chiuso gran tempo in questo cieco legno, Ch' anzi 'l mio dì mi trasportava al fine; Come lume di notte in alcun porto Vid' io le 'nsegne di quell' altra vita: Non perch' io sia securo ancor del fine; È gran viaggio in così poca vita: Poi temo, che mi veggio in fragil legno; E, più ch'i' non vorrei, piena la vela Del vento, che mi pinse in questi scogli. S'io esca vivo de' dubbiosi scogli, Ed arrive il mio esilio ad un bel fine; Signor della mia fine e della vita, SONETTO LII. Riconosce i proprj errori, e invita se stesso ad ascoltar la voce di Dio. Io son si stanco sotto'l fascio antico Delle mie colpe, e dell' usanza ria; Ben venne a dilivrarmi un grande amico Poi volò fuor della veduta mia, Ma la sua voce ancor quaggiù rimbomba: O voi, che travagliate, ecco il cammino; passo altri non serra. Venite a me, Qual grazia, qual' amore, o qual destino Mi darà penne in guisa di colomba, Ch'i'mi riposi, e levimi da terra? SONETTO LIII. Egli è quasi per abbandonarla, quand' ella non lasci d'essergli si crudele. Io non Lo non fu' d' amar voi lassato unquanco, E voglio anzi un sepolcro bello e bianco; Però s'un cor pien d'amorosa fede Può contentarvi senza farne strazio; Se 'n altro modo cerca d'esser sazio Vostro sdegno, erra; e non fia quel, che crede: |