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SONETTO XX.

Laura inferma gli apparisce in sogno, e lo assicura, ch'ella ancor vive.

Già fiammeggiava l'amorosa stella

Per l'Oriente, e l'altra, che Giunone
Suol far gelosa, nel Settentrione
Rotava i raggi suoi lucente e bella;

Levata era a filar la vecchiarella

Discinta e scalza, e desto avea 'l carbone:
E gli amanti pungea quella stagione,
Che per usanza a lagrimar gli appella;

Quando mia speme già condotta al verde
Giunse nel cor, non per l' usata via;
Che'l sonno tenea chiusa e 'l dolor molle;

Quanto cangiata, oimè, da quel di pria! E parea dir: Perchè tuo valor perde? Veder questi occhi ancor non ti si tolle.

SONETTO XXI.

Raffigura la sua Donna ad un lauro, e prega
Apollo a difenderlo dalle tempeste.

Apollo; s'ancor vive il bel desio,

Che t'infiammava alle Tessaliche onde;
E se non hai l'amate chiome bionde,
Volgendo gli anni, già poste in obblio;

Dal pigro gelo, e dal tempo aspro e rio,
Che dura quanto 'l tuo viso s' asconde;
Difendi or l'onorata, e sacra fronde,
Ove tu prima, e poi fu' invescat' io;

E

per

virtù dell' amorosa speme, Che ti sostenne nella vita acerba, Di queste impression l'aere disgombra.

Si vedrem poi per maraviglia insieme
Seder la Donna nostra sopra l'erba,

E far delle sue braccia a se stess' ombra.

SONETTO XXII.

Vive solitario, e si allontana da tutti,
ma ha sempre Amore in compagnia.

Solo e pensoso i più deserti campi

Vo misurando a passi tardi e lenti;
E gli occhi porto, per fuggir, intenti,
Dove vestigio uman l'arena stampi.

Altro schermo non trovo, che mi scampi
Dal manifesto accorger delle genti:
Perchè negli atti d'allegrezza spenti
Di fuor si legge, com' io dentro avvampi :

Si ch'io mi credo omai, che montì, e piagge,
E fiumi, e selve sappian di che tempre
Sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur

si

aspre vie, nè si selvagge

Cercar non so, ch' Amor non venga sempre
Ragionando con meco, ed io con lui.

SONETTO XXIII.

Conosce che la morte nol può trarre d'affanno., e nondimeno, stanco, la invita.

S'io credessi per morte essere scarco

Del pensier amoroso, che m' atterra;
Con le mie mani avrei già posto in terra,
Queste membra noiose, e quello incarco:

Ma perch' io temo, che sarebbe un varco
Di pianto in pianto, e d'una in altra guerra;
Di quà dal passo ancor, che mi si serra,
Mezzo rimango, lasso, e mezzo il varco.

Tempo ben fora omai d'avere spinto
L'ultimo stral la dispietata corda
Nell' altrui sangue già bagnato e tinto:

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Ed io ne prego Amore, e quella sorda
Che mi lasso de' suoi color dipinto ;
E di chiamarmi a se non le ricorda.

CANZONE III.

Mesto per esser lontano da Laura, arde
di sommo desiderio di rivederla .

Si è debile il filo, a cui s’attene

La gravosa mia vita,

Che, s'altri non l' aita,

Ella fia tosto di suo corso a riva:

Però che dopo l'empia dipartita,
Che dal dolce mio bene

Feci, sol' una spene

È stato infin a quì cagion, ch'io viva,

Dicendo: Perchè priva

Sia dell' amata vista,

Mantienti, anima trista :

Che sai, s'a miglior tempo anco ritorni,
Ed a più lieti giorni ?

O se'l perduto ben mai si racquista ?

Questa speranza mi sostenne un tempo:

Or vien mancando, e troppo in lei m' attempo.

Il tempo passa, e l'ore son sì pronte

A fornir il viaggio,

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