Зображення сторінки
PDF
ePub

Matteo.

Che diavolo dici? Con gli occhiali sul naso la morte ch'è senza naso?

Pasquale.

Ma questa ha il naso, e gli occhiali, cappello a gronda, accappatojo abbottonato fino allo stinco, e sotto il braccio un fascio di carte: probabilmente il processo di tutti i vostri peccati, sig. padrone.

Matteo.

Il primo de' quali è il far le spese a un insolente imbecille, sig. Pasquale. Or via, gaglioffo. Assicura colle spranghe la porta, e di' a quel ceffo, che ritorni verso il due mille.

Pasquale.

[ocr errors]

Ma egli ad ogni modo vuole parlarvi. Dice che vi va del vostro interesse che vi è buon amico, e che il suo nome è ser Magrino Sparuti da Camposecco, Membro di molte Accademie, e Socio....

Matteo.

Del canchero che t' afferri, sciaurato. E ci volea tanto ad uscirne di primo tratto senza ammazzare con sì nojoso proemio la mia pazienza? Ma di' che sono altr' uomo se avanti sera non te ne pago. Sgombra di qua, che tu poss' essere la merenda de' lupi, e rispondi a quel sere, ch' egli ha errata la porta, ch'egli e che qui non è pane per li suoi denti.

Taddeo.

Orsù, Matteo. Piglia le cose da uomo che intende il modo del vivere. Ser Magrino protestasi amico tuo.

Matteo.

Sì sì, uno dei tanti educati dal bravo apostolo di Gesù, che s' impiccò ad un fico sotto il Calvario.

Taddeo.

In uomo che fa professione di belli studi io non so condurmi a sospettar sentimenti meno che onesti.

Matteo.

Va, che stai fresco. E soprattutto metti fede in coloro che hanno zucchero in bocca, e mai non si adirano.

Taddeo.

Qualunque egli siasi, l'effetto non celerà. Lascialo entrare.

Matteo.

Se il fo, siam morti, Taddeo: morti dalle sue stucchevoli pedanterie, e poi beffati e straziati dalle cimici letterarie confederate con questo critico scarabeo.

Taddeo.

Prendo sopra di me il carico di dargli osso duro da rodere. Tu non uscire de' miei consigli, e lascialo entrare. Corri, Pasquale, e spalanca le porte al sapientissimo ser Magrino Sparuti da Camposecco. (Pasquale parte)

Matteo.

que

A quanto veggo tu ti consumi di cascar in braccio al becchino. E non dubitare che sto boccaccevole manigoldo con quelle sue lambiccate arringherie contra i moderni te ne farà ben tosto la grazia.

Taddeo.

Potrebbe ancor bello ed essere che costui venendo per sonare fosse sonato, e vi lasciasse le pive. Ma non si dee correre a furia sopra costoro, pubblicandoli tutti per male bestie.

Matteo.

Compare, non toccar questo tasto, non mi far dire, per carità.

Taddeo.

E sieno pure il peggio che vuoi. Che pro ti vien egli dal corrucciartene? Il mondo letterario del pari che il mondo fisico ha pur esso le sue pulci, le sue vespe, li suoi tafani. Non sarebbe egli pazzo chi stornandosi dalla sua via si fermiasse a combattere di proposito questi bacherozzi insolenti, e desse loro occasione di metter fuori la favola della zuffa tra la mosca e il lione (a)?

[ocr errors]

(a) Ecco la favola. Sull' ora del mezzodi ne' più caldi giorni d'Agosto dormiva placidamente un lione sotto un gran leccio, che gli adombrava l'entrata della spelonca. Leggerissima su le ali una mosca ancora digiuna gli si posa dolce dolce sulla punta del naso; e trovata la parte più tenera della narice, vi ficca dentro avidamente la sua acuta proboscide, e succia. Molestato da quello stimolo il sonnolento leone muove ad occhi chiusi la zampa, si spazza il muso, e la mosca subito via. Fatti a zonzo due o tre voli intorno alla testa di quel feroce dormiente, l'au dacissimo insetto torna alle poste, e, tratto lo stocco, ricomincia lo stesso giuoco. E di nuovo il leone colla gran zampa spazzarsi il muso, e la mosca in un attimo dileguarsi. S'avea la terribile belva divorato pocanzi per colezione un mezzo vitello, e all' angolo della bocca tra pelo e pelo rosseggiavale tuttavia una striscia di sangue misto di bava. Adocchiata sì bella mensa, vi si cala ratto la mosca; e ho trovato, dice tra sè, ho trovato finalmente di che cavarmi coll' ajuto di Dio la lunga sete. E senza indugio comincia a far bel lavoro col suo trombino. Il senso delicatissimo, di che le papille delle labbra sono dotate, e la danza che sovr' esse menava la mosca con tutte e sei le sue sottili gambucce, fecero si che il russante animale, senza neppur pensarvi, aperse la bocca, e fe' sonar le mascelle. Spaventata la mosca spiccò un salto

Ma zitto, che il sere è già qui. Su via, escigli incontro in aria cortese e fagli onesta accoglienza,

Matteo.

[ocr errors]

Così vuole il diavolo, e così sia - Ben venga il nostro bel parlatore Ser Magrino Sparuti.

Magrino.

Iddio vi dia il buon anno e le buone calende oggi, e tuttavia.

Matteo.

(Maledetto! A prima giunta un brandello

per aria quanto era lungo tutto il leone, e venne a fermarsi per accidente sul deretano. Ivi stando la meschinella, e pensando al corso pericolo, e sudando per la paura, sentì in un tratto l'effluvio di certo odore a lei caro, che le veniva da alcune gromine ancor fresche sotto la coda. La grande allegrezza ch' ella ne fece non si può dire. Tutta fuor di sè stessa per la consolazione vi si gittò sopra a corpo perduto, e con un gusto, un piacere, una dolcezza di paradiso cominciò a farne lauto banchetto, e a bere di quel nettare a macca, anzi che a centellini. Satollatasi a tutto bell' agio della dolcissima panacea, e di qua e di là cinque o sei volte lisciatasi colle zampette, e tutta vibratasi nella persona, spiegò lietissima il volo per la foresta. E scoperto dall'alto uno sciame di sue sorelle che faceano gozzoviglia su i fracidi resti d'una carogna, si diè a gridar da lontano : Ho vinto, ho vinto: coronatemi d'alloro, trovate un poeta che canti la mia vittoria. Qual vittoria, mia cara? Ho destato il leone; ho appiccata con essa una fiera battaglia; gli ho dato assalto tre volte, e tre l'ho ferito; prima nel naso, poi nella bocca: e si l'ho stracco alla fine che più non s'è mosso. E fatta questa bellissima narrazione (siccome sapea storpiare un po' di latino, e avea pronto qualche verso d'Ovidio), si mise a cantare di tutta gola Ite triumphales circum mea tempora lauri: Vicimus. E tutto il coro delle mosche a una voce vicimus, vicimus. Non fu cantato il Te deum, ma in onore delle tre vittorie vi fu per tre giorni festa da ballo, e corte bandita.

[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]

Questo apologo, tratto dai MM. SS. del celebre Aurelio Bertola, e segnato colla sigla L (forse Lessingh), fa parte delle sue tradu zioni dal tedesco, delle quali abbiamo alle stampe un volume. E si sa ch' ei n' andava preparando il secondo, allorchè da immatura morte rapito fini gl'illustri suoi giorni sul cominciare di queste

secolo.

del Boccaccio per complimento). Voi siete proprio la cortesia del mondo. Entrate, dolce messere. Qual mia fortuna mi concede oggi l'onore d'una vostra visita?

Magrino.

Quantunque volte meco pensando riguardo... (accorgendosi di Taddeo) Oh chi mai m' è dato davanti? L' orrevolissimo e molto dottissimo sig. Taddeo!

Taddeo.

Vi riverisco, signore. Lasciate andare le cerimonie e proseguite il vostro discorso.

Magrino.

Della tutta mia buona voglia anzi che no. Pongo giù il fastello di queste illepide poesie.... Ohimè che dissi? Deh perdonate. Illepido non è parola di Crusca. Dirò dunque: Pongo giù il fastello di queste disastrate e disavvenevoli poesie, e proseguisco.

Matteo piano a Taddeo.

(Lo senti per dio, lo senti che parlare svenevole? Scommetto che questo ribaldo ci regala in fette mezzo Decamerone).

Magrino.

Quantunque volte meco pensando riguardo che già essendo gli anni della fruttifera incarnazione del figliuolo di Dio al numero pervenuti di mille ottocento sedici, in questa egregia città di Milano, oltre ad ogni altra italica doviziosissima, pervenne una poetica pestilenza la quale per operazion d' influssi stranieri, o per le proprie nostre scempiezze, da giusta ira

« НазадПродовжити »