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decoro; come fece al lozio, di cui taciuto il nome, espresse nobilmente l' origine a fac. 113.

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Quei che pría di tosar la bianca lana Ne' lavacri condotto ha la sua greggia, Segua rasa che l'abbia, a rimondarla, E pria dai groppi la divida, e scevri Dalle paglie minute, e ben la scuota Dall' ingenita polvere, e da quanto` Il lungo uso del gregge la fel brutta. Poi tepid onda in gran' vasi apparecchi Ove immolarla: chè il tepor la solve D'ogn' unto, in cui la fredda acqua non puote. E via sovresso vaneggiar vedrai Rigirandosi il crasso olio condotto A sommo e se vi mesci il graveolente -..Pe congeniti sali umor che fonde Nelle implicate reni l'uman sangue à Riuscir da' tini la vedrai siccome

Mai non si fosse d'unto alcun macchiata.

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Giudichi il lettore se sia adulazione lodare la Pastorizia Giudichi se al decoro e al profitto delle lettere sarebbe più conveniente non discorrere i pregi molti e grandi e i difetti pochi e piccoli della Pastorizia; ma in vece (come qualche scimunito vorrebbe ) esaltare certe miserabili buffonerie che in questi tempi uscirono col nome di Cronache di Pindo: le quali a me pare (e forse altri dimostrerà) che siano l'estremo ludibrio e la più brutta prostituzione delle povere muse italiane.

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(Sarà continuato.)

A

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Lettera al Compilatore dell' estratto della Vita di Empedocle. (Vedi Tom. II. pag. 18 di questo Giornale).

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LEGGEND

JEGGENDO l'erudito estratto della vita di Empedocle che trovasi nel fascicolo IV. di questo Giornale, e giunto al luogo in cui si dice, che egli di due mila anni prevenne le sperienze fatte col mercurio dal Torricelli; e poco dopo, che a lui era noto e chiaro ciò che il sommo Galileo non seppe spiegare ai fontanieri di Boboli, fui compreso da somma ammirazione, e stava in forse di abiurare l'opinione ch' ho sempre portata che gli antichi quanto avanzavano i moderni nelle lettere e nelle belle arti, altrettanto fossero ad essi inferiori nelle matematiche e nella cono→ scenza delle arcane leggi della natura.

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Ma dato luogo alla prima sorpresa, e riletti i versi che si recano a fondamento di quelle àsserzioni, mi convinsi che tutta la dottrina in essi contenuta si riduca a questi quattro punti: 1. L'acqua non può entrare in un vaso senza discacciarne l'aria di cui è ripieno.

2. L'aria non può cedere il luogo all'acqua, se non uscendo per un foro che dall' acqua stessa non sia occupato e chiuso (a).

(a) Acciocchè il fenomeno qui descritto abbia luogo, conviene inoltre che i fori del vaso siano posti ad eguale o quasi eguale profondità sotto il livello dell' acqua. Se ciò non fosse, l'acqua entrerebbe pei fori più bassi ove la pressione è maggiore, scappando l'aria sotto forma di bolle dai più elevati.

3. Riempiuto d'acqua il vaso, non può più questa uscirue, se l'aria non vi rientra.

4.° L'aria non può rientrarvi, se non per un adito che non sia occupato dall'acqua.

Questi fenomeni, cadendo giornalmente sotto gli occhi di tutti, erano sicuramente noti anche al volgo; ed in fatti Empedocle non li riporta come una invenzione recondita e nuova ma

gli adduce come un fatto conosciuto, onde dare una spiegazione facile e popolare del modo con cui si fa la respirazione.

Or da queste nozioni elementari alla teorica del tubo torricelliano passa, come ognun vede, una distanza grandissima.

Vediamo se almeno la spiegazione che egli, dà del fenomeno si innalzi alcun poco sopra le cognizioni comuni all' età sua, L'acqua non entra, dic' egli, nella clessidra ripiena d'aria perchè questa colla molla la preme, sospinge ed

allontana.

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Si accordi ad Empedocle l'onore di aver, forse il primo, accennato l'elaterio dell' aria (non già il suo peso, dal quale dipende la spiegazione della sospensione del fluido nel tubo del Torricelli), ma si confessi che nell' applicazione che ne fa non ha colpito nel segno. Se l'aria fosse incompressibile, impedirebbe ogui ingresso all' acqua: essendo compressibile ed elastica ne lascia entrare una piccola quantità: in nessun caso poi potrebbe sospingerla ed al

lontanarla.

L' acqua, segue poi a dire, non esce dalla clessidra che n'è ripiena, perchè l'aere di fuori, cupido d'entrare, la ritiene: spiegazione che non è gran fatto migliore di quella che dall' orrore

છે

al vacuo traevano gli Aristotelici: giacchè siccome a costoro si domandava, perchè l'orrore al vacuo cessa a 32 piedi d'altezza d'acqua, si può domandare al filosofo poeta perchè all' altezza medesima cessi nell' aria la cupidigia di entrare. Qui dunque si limitano le dottrine contenute ne' versi recatici dall' autore dell'estratto. Ma Ctesibio, Erone, e chi fu quello che insegnò agli uomini a innalzar l'acqua colla tromba aspirante, eransi spinti nella scienza idraulica alquanto più oltre. Sapevan essi che non solo l'acqua non può entrare in un vaso se prima non ne discaccia l'aria; ma che estratta questa da un tubo la cui unica inferiore apertura rimanga sott' dee l'acqua acqua, stessa entrarvi necessariamente, e vincendo la sua gravità, salire sopra il suo naturale livello. Al Torricelli poi era riserbato il dare di questo. fenomeno la vera spiegazione, deducendola dal peso dell' aria (non ignoto a Galileo) e dalla legge dell' equilibrio de' fluidi ne' tubi comunicanti; e il segnare il limite dell' altezza oltre il quale ai fluidi di varia densità è impedito di sostenersi.

Sian dunque i matematici de' secoli posteriori ad Empedocle liberi dalla taccia di aver ignorata o trascurata l' insigne scoperta che a lui volevasi attribuire: taecia che se riuscirebbe poco onorevole a Galileo, sarebbe poi imperdonabile ad Archimede, Siciliano, e vissuto in tempi più vicini al filosofo d'Agrigento.

Risposta alle precedenti obbiezioni.

SARERDE

AREBBE stolta presunzione se io meno che mezzanamente istruito nelle fisiche volessi contendere con V. S., che n'è maestro sì lodato. Ma senza contendere posso rispondere ; e debbo per più cagioni. Primieramente desidero che il Pubblico sappia ch' io non mi arrogai di parlare di mio capo; ma semplicemente esposi una opinione del sig. Scinà, professore di fisica molto accreditato in Palermo. Ecco le sue proprie parole a facce 56 e seguenti del secondo volume, dove nella terza mes moria discorre tutte le parti della filosofia Empedoclea.

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Dal cielo tornando alla terra, non più « troviamo il nostro filosofo che immagina l'origin delle cose; ma che studia e interpreta << con senno la natura. La prima verità che << c' insegna, non già ragionando, ma coll'espe«rienza, è il peso e la molla dell' aria. Mette « egli in opera, in difetto di macchine e di << strumenti, la clessidra, che si usava allora « da' nostri (Siciliani) come orologio a misu<< rare il tempo. Avea questa la sua figura co«<nica; la base forata a guisa di minutissimo vaglio, e il collo lungo che stringendosi « sempre più, andava a finire in un sottil bu«< colino. Si tenea allora la clessidra col collo all' ingiù e l'acqua, di cui era piena, len

«

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