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e tu

« Dinarco mio! e sapevi sicuramente, e stesso l'hai detto, che le città dell'Asia inorridite per l'empia distruzione del più grande e magnifico monumento, che la potenza e l'arte eretto avessero mai alla religione pubblica delle nazioni, concordi pubblicarono decreto, che il nome dell' incenditore fosse abolito in guisa che niuno lo rammentasse ne in favella, nè in iscrittura. Dachè tu hai scritta e pubblicata la Vita di costui, una delle due cose è da dirsi, cioè, o ch' esse non ebbero ragione di decretare così, o che tu hai avuto gran torto in fare al contrario di quanto esse decretarono, E sia pur vero che come tu dici, la fama è il più indomito de' mostri ; e che la stessa pubblicazione di quel decreto, quand' anche non contenesse chiaro e manifesto il nome del tristo, pure lo risvegliava alla memoria degli uomini. Ma ciò era forza di naturale necessità, che il pudor pubblico poteva rattemprare alcun poco: laddove nel fatto tuo splende soltanto volontà risoluta. Ond' è, che scrivendo tu, conforme facesti, tutta dal principio al fine la leggenda di lui, ti sei messo in opposizione a quel deed hai commessa aperta violazione del diritto delle genti. Nè credere già che per essere cittadino di Epidauro, anzi che di alcuna delle greche città dell'Asia, tu possa andartene giustificato. Gl' interessi, che nell' orrendo crilegio di colui avevano quelle città, gli aveva anche Epidauro tua patria, se patria hai tu, il quale fama è che non ne abbi nessuna. E sai perchè gli aveva anche Epidauro? perchè la riverenza agli Dei è debito di tutte le nazioni e perchè il rispetto ai monumenti insigui dei

creto,

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popoli colti è parte dei doveri che hanno gli uni verso gli altri quanti uomini vivono vita civile. Nè voglio io dissimulare l'intenzione che tu hai avuta in proporre quel tuo dubbio, se uno smisurato e costante desiderio di fama possa infiammare l'anima di uno stolto. Tu vieni in quel tuo Proemio dicendo, che disposero i fati ehe in quella medesima notte, in cui Erostrato arse il tempio, nascesse il macedone Alessandro; che questi per divenir grande sconvolse l'Asia, empiè l' orco di anime irate, lasciò i campi coperti di scheletri avanzi de' corvi; e l'altro con danni minori si procurò fama: che in ambi fu la stessa passione; in uno col sangue e il pianto di molte genti non saziata, nell' altro paga della fiamma di un tempio. Non è egli così che tu dici? E però, concludi poi, se la smania di rinomanza è pazzia, converrà stimare dagli effetti maggiore quella di Alessandro come esempio incomparabile di quanto giunga a beffarsi di noi un audace usurpatore. Or odi a che per queste tue parole io sia tentato. Ti saresti tu per avventura beffato dei Greci, in cospetto de' quali hai fatto codesto cicalamento? Non io certamente voglio dire, che non sia un grande male la guerra, e che non debbasi riputare un' atroce forsennatezza se sia intrapresa a pura soddisfazione di avidità ambiziosa. Pera chiunque sia invaso da tal furore inumano! Però, se prima degli uomini vi sono gli Dei, e se è il mal più funesto che possa farsi al mondo lo sciogliere i vincoli, pei quali soli sotto la forza delle potenze invisibili sta e mantiensi salda la fortuna de' popoli; il delitto di Erostrato, Dinarco mio , e per l'oggetto suo, e pe' suoi effetti è

ben più grave scelleratezza. Finalmente la natura ripara presto i danni della guerra, e il tempo riconforta i superstiti non diversamente da quanto succeda per alcuna di quelle vicende per le quali in una istantanea lotta degli elementi gli uomini di tratto in tratto patiscono sventura, Ma il sacrilegio sparge terrore sopra tutte le generazioni, se fossero infinite; e dopo. avere tolto ogni senso di speranza ai viventi, passa a contristare gli estinti medesimi, spet¬ tatori dell' ira che per sì alto misfatto veggono lampeggiare sul volto degli Dei. Sebbene per altra ragione ancora dico io, che tu ti sei inumanamente beffato de' Greci. E con che fronte ardisci tu paragonare Erostrato ad Alessandro, e chiamare audace usurpatore lui, il quale vendicò Grecia dagl' insulti, che venuti erano farle sulle proprie sue terre i Persiani, cupidi tuttora di soggiogarla in ogni maniera? Lui, che sì lungi diffuse il nome, la potenza e la gloria di Grecia? Sei tu del sangue di que' Barbari che rovesciarono le mura di Atene, che devastarono i meravigliosi monumenti delle arti greche, e che vollero spegnere per cieca invidia i lumi delle scienze e delle arti, ed ogni principio di civiltà, di cui i padri nostri furono e creatori e maestri? Sei per avventura rampollo infame di que' forsennati, che abjurando la patria e il greco nome, quando Serse passò l'Ellesponto si misero sotto le sue bandiere? O sei almeno nipote di qualche tiranno dell'Asia, cacciato per le armi greche da un trono, di cui era indegno? Per onor tuo io non credo che tu sii di tale razza. Ben credo che chiunque sia greco pensi di Alessandro in tutt' altra

e più ragionevole e più giusta maniera. Fatti raccontare da' tuoi vecchi, se nol sai, come i superbi domatori dell'Asia non hanno perdonato mai alla Grecia le vittorie di Maratona " di Salamina e di Platea. Essi ti diranno ancora, come la gelosia di Atene e di Sparta divise la Grecia in fazioni; come i folli Sofisti si arrogarono l'autorità degli uomini assennati e dei magistrati; come ogni dignità nazionale sarebbe stata perduta irreparabilmente in Cheronea insieme colla libertà greca, se a sollevare gli spiriti, con eccitamento proprio de' tempi Alessandro, che tu insulti tanto, non gli avesse condotti al conquisto dell'Asia. Ogni altro re che lui si sarebbe contentato di assicurare per fin che vivesse l'indipendenza della Grecia tante volte minacciata dai Barbari. Alessandro tentò impresa più meravigliosa: egli volle rendere greca l'Asia; volle cioè far adottare alle nazioni barbare le leggi, le scienze e le arti della Grecia ; e ; e poichè questi erano i mezzi soli atti veramente a guidare gli uomini alla prosperità, pensò, che di tante famiglie mal note tra loro, e state fino a que' tempi senza alcun pro, ed anzi con loro danno nemiche, non era impossibile cosa il formarne una sola famiglia, che fu chiamata imperio. Non erano più i tempi in cui Bacco in mezzo al lieto clamore di canti e suoni poteva scorrere trionfando la terra. Ma se l'uso delle armi diventava necessario contro chi colle armi aveva oppressa la Grecia, e si disponeva ad opprimerla ancora, vedi come Alessandro fra quanti lo precedettero lo temperò. Dinarco! ami tu paragoni? Ebbene: metti Ciro incontro ad Alessandro. Sono due grandi

nomi nella istoria, Ciro sì, che non diede a cento popoli soggiogati da lui se non la miseria della schiavitù: egli era un Barbaro. Alessandro pel contrario era Greco; e diede ai diede ai popoli chiamati sotto il suo imperio i beni di cui i Greci godevano. La guerra nocque, è vero, a qualche città de' Barbari: ma quante non ne restaurò, non ne ingrandì, non ne fondò Alessandro? Quanti emporj non aprì egli al commercio di popoli, i quali non si erano mai conosciuti di faccia e scarsamente ancora di nome? E non fece egli cercar mari non mai navigati dai nostri? non allargò i confini degli studj di ogni genere, mandando in Grecia quanto intorno a scienze ed arti offrivano i paesi più lontani dell'Oriente? e le religioni stesse, e i santuarj più celebri de' remotissimi popoli non onorò egli e protesse? Non istarò a dirti, che se fece incendiare Persepoli, i Greci avveduti riconobbero in quel fatto il consiglio del saggio, non la irriflessione di un ebbrio dissoluto, siccome calunniando i soli Persiani potevano impunemente dire; e che se si dichiarò figliuolo di Giove Ammone, non fu già per ingiuriare Olimpia, come favoleggiarono gli stolti; ma per imporre con loro vantaggio alla superstizione de' Barbari conquistati, Meno mi perderò a rammentare e Porro, e Addalonimo tratti di altissima moderazione, di cui Alessandro solo potè dare l'esempio. Così gli Dei non l'avessero sì presto tolto dal mondo, che forse nol meritava! Imperciocchè ove compiuto avesse gli alti disegni da esso lui concepiti, ben altra e migliore fortuna avrebbero avuta i popoli della terra, che tacciutasi in cospetto suo non

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